Vladimir Putin e il nuovo ordine mondiale

Vladimir Putin è figlio della cultura militarista sovietica, cresciuto pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale nella “città martire“ di Leningrado, attuale San Pietroburgo, la cui memoria è intoccabile. Eppure non ha mai combattuto. Non ha partecipato all’invasione dell’Afghanistan tra il 1979 e il 1989, durante la prima guerra cecena era già un alto funzionario, il secondo conflitto ceceno sarà lui a scatenarlo nel 1999, per mantenere il potere conferitogli da Eltsin. Putin è ossessionato dal dare di sé l’immagine dell’eroe virile proprio perché non ha mai conosciuto la guerra. Inoltre, la cultura della guerra permanente, e quindi la cultura della “vittoria”, agli occhi dei dirigenti ex sovietici e “nuovi russi” conferisce status e diritti.

I cittadini della Federazione Russa di oggi poi, hanno idealizzato la vita sovietica – nonostante l’oppressione ideologica, il linguaggio ambiguo, la censura, le grandi difficoltà per viaggiare, l’assenza di libertà, le repressioni, i campi di concentramento e gli ospedali psichiatrici per i dissidenti – ampiamente sopravvalutata e celebrata fino alla nausea. Questo perché nella Federazione Russa post sovietica non è mai stato fatto nessun lavoro sulla memoria del passato sovietico, che sommato alle difficoltà socio economiche degli anni 90, ha prodotto nostalgia dell’URSS.

Vladimir Putin, fa poi leva sulla vittoria contro il nazismo per attribuire al suo paese una sorta di superiorità morale nelle relazioni internazionali.

“Abbiamo un immenso diritto morale, quello di difendere le nostre posizioni in maniera ferma e durevole, perché è stato proprio il nostro paese a subire il grosso dell’offensiva nazista e a regalare la libertà ai popoli del mondo intero.” afferma Putin nel suo discorso durante la parata del 9 maggio 2012. Ancora nessuno sospettava che la retorica sovietica di opporre il soldato liberatore dei popoli al “nazifascista [1]”, sarebbe stata usata per giustificare l’invasione della Federazione Russa dell’Ucraina.

Putin afferma, “Prima di tutto dobbiamo riconoscere che il crollo dell’URSS è stata la più grande catastrofe geopolitica del secolo“.

Non la seconda guerra mondiale? La rivoluzione bolscevica? Nemmeno la presa dell’Europa centrorientale da parte di Stalin?

Queste parole dovevano farci aprire gli occhi sui reali obiettivi di Putin e sul suo sogno di ricostruire una specie di nuova Unione Sovietica.

Una svolta conservatrice nella filosofia politica di Vladimir Putin arriverà prima nel 2003, in opposizione alla rivoluzione delle Rose in Georgia, che porta al potere il giovane democratico e filoamericano Michail Saakashvili, e un anno dopo a seguito della rivoluzione arancione in Ucraina che spazza via il candidato filorusso Viktor Yanukovich a vantaggio del riformatore filoccidentale Viktor Yushchenko. Ora che alcuni popoli hanno deciso di abbandonare l’universo sovietico e il patrocinio del “grande fratello”, il presidente si sente accerchiato. Senza prendere minimamente in considerazione la volontà di quei popoli, in questo processo democratico non vede altro che un’operazione dell’Occidente per isolare e indebolire la Federazione Russa.

Se da un lato si fa baluardo dei valori ortodossi del patriarcato di Mosca, dall’altro lato, per tenere buone le numerose minoranze islamiche della Federazione, Vladimir Putin insiste anche sul concetto di multiculturalismo della Federazione Russa, uno stesso popolo multiculturale con gli stessi valori sociali e patriottici.

Il 18 marzo 2014, per ritorsione contro la rivoluzione democratica ucraina (che le autorità della Federazione Russa chiamano putsch della giunta fascista di Kyiv), dopo aver inviato gli “omini verdi”, truppe del Cremlino senza insegne, e dopo un referendum farsa, si è impadronito della Crimea, distribuendo passaporti della Federazione Russa ai cittadini ucraini e ai tatari di Crimea, rendendo inutili i passaporti ucraini per vivere e lavorare sulla penisola.

Nel messaggio di Putin alla Federazione Russa e all’Occidente, dice “La politica di arginamento della nostro paese, che è durata per tutto il settecento, l’ottocento e il novecento, continua ancora oggi. Cercano sempre di costringerci in un angolo perché abbiamo una posizione indipendente e la difendiamo, perché chiamiamo le cose con il loro nome e non facciamo gli ipocriti. Ma c’è un limite a tutto. Nel caso dell’Ucraina i nostri partner occidentali hanno superato la linea gialla, si sono comportati in maniera rozza, irresponsabile e non professionale“. È un’iniziale dichiarazione di guerra all’Occidente.

Qualche mese dopo, con la scusa dei russofoni [2] perseguitati, sosterrà economicamente e militarmente le autoproclamate “repubbliche” di Donetsk e Luhansk. Invia nei territori delle oblast ucraine di Donetsk e Luhansk camion di aiuti umanitari pieni di armi e i già citati omini verdi. Ufficiosamente sta strappando altre due regioni all’Ucraina.

Putin ha l’idea di una Federazione Russa umiliata e offesa dall’Occidente, ma pronta a riconquistare la sua potenza a qualsiasi costo. Dopo l’annessione della Crimea e l’intervento militare in Siria nel 2015, il Cremlino si prepara al “ritorno della Federazione Russa” sulla scena internazionale.

Un ulteriore inasprimento comincia nell’aprile 2021 con lo spostamento delle truppe del Cremlino sul confine ucraino. Dopo aver ammassato ulteriori truppe, chiede agli Stati Uniti e alla NATO di non accogliere mai l’Ucraina nell’alleanza atlantica. Sa benissimo che Washington non accetterà mai di firmare un documento del genere in nome della libertà di ogni popolo di scegliere l’alleanza militare che preferisce. La manovra è quindi una trappola, non è prevista nessuna imminente adesione dell’Ucraina alla NATO. A fine ottobre la CIA inizia a presagire un’invasione dell’Ucraina da est, da sud e da nord.

La sera del 21 febbraio 2022, Putin si rivolge ai suoi concittadini in televisione. Comincia con il ripetere che l’Ucraina è un pezzo irrinunciabile della storia e della “cultura russa”, afferma che come stato non è mai esistita, e visto che l’Ucraina, dopo la rivoluzione di Maidan, ha buttato giù statue e simboli sovietici, afferma fra il minaccioso ed il beffardo: “Volete la decomunizzazione? Ci va benissimo, ma non fermiamoci a metà. Siamo pronti a mostrarvi cosa significhi una vera decomunizzazione”. Chiunque sappia leggere tra le righe capisce che sta per scatenare i carri armati in Ucraina.

La guerra arriva tre giorni dopo, alle sei del mattino. Putin afferma che “sul nostro territorio storico si sta formando “un’anti-Russia” ostile, totalmente controllata dall’esterno“ che minaccia la Federazione Russa. Si tratta quindi di una “questione di vita o di morte, del futuro storico del nostro popolo: hanno oltrepassato la linea rossa“. Con una retorica sempre più indignata e ripetitiva ribadisce la sua convinzione che i neonazisti di Kyiv si accingono ad aggredire il suo paese. Dato che le repubbliche del Donbas “hanno rivolto una richiesta d’aiuto“ alla Federazione Russa, il presidente ha “preso la decisione di lanciare un’operazione militare speciale“ per proteggere milioni di persone vittime di “persecuzioni“ e di “genocidio“ da parte di Kyiv. L’obiettivo dell’operazione sono la “smilitarizzazione” e la “denazificazione” dell’Ucraina.

Per fortuna le cose non stanno andando come previsto. Gli ucraini, le forze armate quanto la popolazione civile, oppongono un’eroica resistenza. I soldati di Putin subiscono pesanti perdite, radono al suolo le città come hanno già fatto con Grozny e Aleppo, provocando un esodo verso l’Europa mai visto. Parte dello scopo era demilitarizzare l’Ucraina, che invece è più “militarizzata” che mai, grazie al sostegno dell’Occidente. La Federazione Russa invece è più isolata che mai, grazie alle sanzioni dell’Occidente.

Ad oggi, analizzando i discorsi e la storia di Vladimir Putin come presidente della Federazione Russa, si può affermare che voglia riunire il “mondo russo” sotto un’unico stato, o sotto stati fantoccio non ufficialmente annessi alla Federazione Russa, ma controllati e dipendenti da essa. Una via di mezzo fra l’URSS e l’impero zarista.

Questo progetto di “mondo russo unito”, che dovrebbe diventare un nuovo punto di riferimento economico eurasiatico, in opposizione a quello Occidentale, sembra tanto ambizioso quanto infattibile. Putin, scettico verso la modernità e la tecnologia, sottovaluta il potenziale di quei popoli che vorrebbe nuovamente sottomettere, forse ancora schiavo della mentalità e dei sistemi ante guerra fredda, ma sono trascorsi 30 anni, il mondo è cambiato, quella mentalità e quei sistemi risultano inefficaci e superati.

Resta il fatto che, per la sua personale volontà di aggrapparsi al passato e rivivere la “gloria della vittoria”, Vladimir Putin non solo ha trascinato in guerra le nazioni attorno ai confini della Federazione Russa, ma sta mettendo in pericolo l’equilibrio del sistema democratico nel mondo, portandoci ad una nuova guerra fredda.

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[1] il concetto di nazifascista cambia leggermente di significato nel linguaggio sovietico e di riflesso in quello contemporaneo del Cremlino. Il nazista è il nemico, colui che va contro gli interessi del Paese e non è quindi allineato al regime, mentre in Europa è riferito a persone di estrema destra, antisemiti e nostalgici del periodo nazifascista.

[2] i russofoni sono le persone di madrelingua russa, che non sono necessariamente di etnia russa. Molti popoli dell’ex Unione Sovietica hanno subito dei processi di russificazione forzata, prima zaristi e poi sovietici. Va notato che oggi, specialmente fra i più giovani, c’è una tendenza ad abbandonare la lingua russa in favore delle proprie lingue nazionali.

I russofoni non vanno confusi con russofili e filorussi, termini che designano le persone non necessariamente provenienti dall’ex Unione Sovietica o dalla Federazione Russa, che sostengono la Federazione Russa e il regime del Cremlino.

di Michele Negro