Primo Festival del Vero

”È un grande onore per me partecipare al primo festival di Articolo Ventuno.

Il tema di oggi “Vocabolari di guerre, il ruolo del giornalismo nel raccontare le crisi” è molto importante e stimolante per me e per tutto il nostro gruppo di forzaucraita.it che rappresento qui oggi.

Noi siamo un team internazionale che si è riunito spontaneamente dopo il 24 febbraio per raccontare l’ucraina al pubblico italiano.

I membri del nostro team hanno forti legami sia con l’Italia che con l’Ucraina, quindi spesso assumiamo il ruolo di ponte di collegamento tra la voce ucraina e la coscienza italiana.

Inoltre, molti membri del nostro team conoscono almeno 4 lingue e quindi hanno accesso diretto alle informazioni divulgate in diversi paesi.

Raccontare la guerra non è facile, perché i vocabolari di guerra raccontano la violenza, la morte, l’ingiustizia e suscitano paura.

Quindi, raccontando le guerre e i conflitti, c’è sempre il rischio che, nella ricerca di una notizia sempre più forte ed eclatante, si cada nel “voyeurismo psicologico”, quando le vittime di una guerra non hanno tempo per vivere il loro dolore, non hanno gli spazi per conservare le parti più intime e nascoste della morte e della violenza.

L’ultimo esempio di questo fenomeno di “voyeurismo psicologico” mi ha sconvolto proprio in questi giorni. L’intervista alla madre di Lisa, bambina uccisa durante l’attacco missilistico a Vinnytsia viola non solo gli standard giornalistici, ma anche l’elementare etica quotidiana.

È inaccettabile il fatto che nel video sia stato utilizzato il microfono della Rai.

Anche se a partire da domenica mattina l’intervista non si trova più sul motore di ricerca italiano, il video è attualmente disponibile sul twitter di Nexta.

Mi domando per quale motivo l’Ucraina va raccontata esclusivamente con le testimonianze di violenze subite e mai con l’analisi della storia, politica e strategia?

In questo senso, il ruolo del giornalismo nel raccontare le guerre è fondamentale, il giornalista è il mediatore intellettuale tra il Fatto (con la F maiuscola) e la diffusione della conoscenza di esso per sollecitare i cittadini a prendere CONOSCENZA e COSCIENZA di tematiche meritevoli della dovuta attenzione e considerazione.

Un’altra domanda mi sorge spontanea pensando ai vocabolari di guerre:

La ricerca della verità può dipendere dal bagaglio culturale, esperienza di vita e di convinzioni di chi la racconta? E fino a che punto possono influenzare la verità?

Un giornalista che vede il mondo attraverso il prisma delle proprie convinzioni può diventare come un autista daltonico, che scambia i semafori rossi con quelli verdi?

Secondo me, Il giornalismo è una delle tre professioni, che hanno un ruolo fondamentale nella vita di ogni società.

Tre professioni che hanno ‘’più responsabilità’’ nella vita sociale di tutte le altre e cioè: i medici, gli insegnanti e i giornalisti.

I medici si prendono cura della parte fisica della società, garantiscono la sopravvivenza degli individui.

Gli insegnanti curano il nostro futuro, crescono ed educano le nuove generazioni, basandosi sulla storia e sul passato.

Invece il ruolo del giornalismo è vigilare ed essere occhi della società, assicurare ai cittadini un’informazione qualificata e caratterizzata da obiettività, imparzialità, completezza e correttezza, attingendo ad un PLURALISMO di fonti e raccontando quindi non solo quello che vede l’occhio, ma spingendosi alla ricerca delle radici di ogni avvenimento, sollevando i problemi più difficili e spesso nascosti.

Ogni società e formata dai singoli individui, da persone che in un suo insieme costruiscono sia la memoria che la coscienza e responsabilità collettiva e nella formazione della memoria, coscienza e responsabilità il ruolo del giornalismo libero è fondamentale.

Sono nata nell’unione sovietica e ho vissuto la mia gioventù dietro il muro che è stato costruito tra due ideologie.

Una per me aveva l’immagine positiva e molto affascinante dei vincitori e dei valori, della giustizia e del mondo migliore; l’altra rappresentava il male assoluto senza senso, il mondo degli orrori dello sfruttamento e dell’ingiustizia: l’OCCIDENTE, cosi come veniva dipinto da parte dell’URSS.

La mia conoscenza del mondo Occidentale era cosi CONDIZIONATA e DISTORTA dai mezzi di informazione e propaganda sovietici che sognavo di adottare da grande un ‘povero bambino americano’ per farlo vivere nel paradiso sovietico….

Ma adesso vorrei parlare di mio padre.

Mio padre era un ingegnere e un comunista, che credeva moltissimo nei valori della società in cui viveva.

Come ingegnere lavorava in una fabbrica di Mariupol, all’epoca Zhdanov.

Quando da piccola lo chiedevo che lavoro facesse, mi rispondeva che produceva cisterne. Ero delusa. Solo le cisterne!

Si, perché il nostro il paese è molto grande – diceva- e abbiamo bisogno di tante tante cisterne per portare la merce.

Dopo tanti anni, ho scoperto che il dipartimento che dirigeva mio padre era legato all’ industria bellica e lavorava direttamente con il Ministero che si trovava a Mosca, inoltre, dopo il crollo del muro di Berlino ho scoperto che da giovane lui, durante il servizio militare era stato uno dei militari sovietici posizionati a Cuba durante la crisi Caraibica nel 1962.

Come dicevo mio padre era un idealista che credeva nei principi e nei valori del mondo e della società Sovietica.

Nei primi anni Novanta (con l’avvento di Gorbaciov e della Perestroika) quando la libertà è stata sdoganata e la censura sovietica è scomparsa, una sera tornò dopo il lavoro molto turbato. Mi aveva detto: “Oggi ho lasciato la mia tessera del partito comunista sul tavolo del segretario del partito. Non voglio e non posso più essere COMPLICE dei crimini che hanno compiuto, coprendo tutto con una bella favola….

I valori per cui vivevo e lavoravo erano tutte menzogne lontani dalla realtà. Dietro la bella immagine e le meravigliose parole sono stati nascosti massacri ed omicidi, l’ineguaglianza e la schiavitù del regime che si presentava come paradiso dei lavoratori.

Era molto turbato e si interrogava se avesse fatto bene di abbandonare l’idea in cui credeva per tutta la sua vita.

La sua decisione così drastica è arrivata dopo aver letto gli archivi storici dell’URSS che sono stati aperti e le inchieste giornalistiche che sono state finalmente pubblicate.

Per me è stato un grande insegnamento di cosa può fare il giornalismo e la libertà di stampa e di espressione, cioè mettere il cittadino in condizione di compiere le sue valutazioni, avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti: scegliere da che parte stare nella lotta dei valori, nella ricerca della dignità e la propria identità storica.

Mio padre non c’è più dal 2008 e mi manca terribilmente. Forse per questo è molto importante per me conservare alcuni ricordi di cui è fatta la storia sia personale che del paese dove noi entrambi abbiamo vissuto.

Mio padre mi manca moltissimo, ma un pensiero orrendo mi viene molto spesso ultimamente: “Meno male che mio padre non c’è più”

Questo pensiero è legato alla guerra che è cominciata non il 24 febbraio 2022 ma 8 anni prima.

É stata una guerra non solo dimenticata, ma soprattutto non è riconosciuta come tale, perché una invasione è stata coperta con il soprannome “guerra civile”. I patti internazionali prestabiliti sono stati violati, i confini dell’Europa democratica sono stati spostati, ma l’aggressore e invasore si era anche ARROGATO il ruolo del peace keeper e osservatore internazionale di pace.

Com’è stato possibile chiedete voi?

Grazie all’UCCISIONE, all’ASSASSINIO direi io, in primo luogo della libertà di stampa interna e del GIORNALISMO, grazie ad una precisa strategia di disinformazione ben collaudata perché’ già utilizzata con successo in passato, nell’URSS.

Da quasi 20 anni abito in Italia, da 14 sono cittadina italiana e da 8 sono ferita da una guerra che può sembrare lontana, ma vive dentro di me e condiziona la mia vita tranquilla e pacifica in Italia.

Sono russofona del Donbass; sono crescita a Mariupol e non posso rimanere in silenzio avendo il mio bagaglio storico e culturale durante questa guerra che in Italia va combattuta non con gli armi che esplodono e feriscono fisicamente, ma con l’informazione (disinformazione) che ferisce e distrugge non meno dei missili che sparano. Ed è a volte la violenza invisibile di cui ho parlato in un’alta occasione e nell’articolo che ho scritto per Articolo21. https://www.articolo21.org/2022/07/la-parola-e-unarma/

Credo che noi tutti abbiamo a cuore la pace nell’Ucraina e nel mondo .

Spero che per la pace che noi intendiamo e che vogliamo sia la pace basata sui valori e sulla giustizia. I veri valori europei, per cui anche l’Italia, a suo tempo, ha pagato un prezzo molto alto.

Vorrei concludere citando André Glucksmann e credo tutti capiranno di cui parla:

“Sensibile al dolore delle persone oppresse, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile”

Si, parla di Anna Politkovskaja il simbolo del giornalismo con la G maiuscola, che sapeva parlare di guerre e non temeva il tiranno che aveva usurpato il potere nel Cremlino.”

Tetyana Bezruchenko
Cittadina italiana dal 2008, residente a Milano, nata a Mariupol, membro fondatore del Centro culturale Wikiraine, responsabile della citta di Milano e Provincia dell’associazione culturale europea italio-ucraina Maidan