Reportage di RBK-Ucraina da Bakhmut: come vive e resiste la città più “calda” del Donbas, cosa pensano della guerra gli abitanti della zona e quali sono i loro rapporti con i militari.
Un militare vicino alle rovine di una casa a Bakhmut (Foto: Volodymyr Chernyak)
Bakhmut è stata a lungo il punto più caldo dei combattimenti sul fronte orientale. L’esercito russo ha trasferito qui ingenti forze per conquistare la città. Ma i soldati ucraini non lo permettono e respingono tutti gli attacchi nemici.
Oggi la città vive sotto costanti esplosioni, in condizioni di caos e crisi umanitaria. Anche quando tutto attorno diventa un po’ più calmo, nessuno si sente tranquillo, ma al contrario ancora più teso, perché potrebbe essere un nuovo tentativo del nemico di entrare in città. Scoprite come vive oggi Bakhmut nel reportage di RBK-Ucraina.
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Stiamo entrando in città, che è sulla linea del fuoco. La periferia di Bakhmut brucia, è costantemente bombardata dalle armi nemiche. Gli edifici freddi, che si “riscaldano” solo dopo gli arrivi dei missili, nascondono i corpi delle persone morte qui a causa dell’invasione russa.
Uno potrebbe chiedersi, per quanto tempo ancora il nemico colpirà la città ucraina, che non si arrende all’occupazione? Le Forze Armate dell’Ucraina e la Guardia Nazionale tengono saldamente la difesa, anche se subiscono perdite. Le perdite del nemico sono ancora maggiori. E nonostante il desiderio dei russi di arrendersi, non possono farlo.
“Ce n’era uno. Voleva arrendersi, ma la sua stessa gente lo ha ucciso. Non permettono loro di arrendersi. Se non vuoi stare con loro, ti sparano”, dice uno dei combattenti che opera in quest’area.
In città abbiamo incontrato le Guardie Nazionali della 4ª Brigata Operativa, che difendono Bakhmut. Ci raccontano che i nemici cercano di entrare in città più volte al giorno in piccoli gruppi. La loro brigata respinge questi attacchi.
“In città si sentono solo armi pesanti. Molte volte ne arrivano di più lì, in periferia, dai mortai e dai lanciagranate automatici a cavalletto. Non si può nemmeno andare nei cespugli per un bisogno, perché in qualsiasi momento si può essere colpiti da detriti”, ha detto il combattente.
Durante la conversazione, ha tirato fuori il telefono dalla tasca: qualcuno stava chiamando. Il salvaschermo mostra la foto di due bambini. A differenza del nemico, sa perché sta combattendo.
Lungo la strada vediamo una scuola, dove un tempo studiavano i bambini. Sono rimaste solo le mura esterne, e nemmeno tutte. Il missile ha colpito in pieno l’edificio e ha distrutto tutto quello che vi era dentro. È rimasta solo la porta con la scritta “Non entrare senza mascherina”. Resti dell’epoca del coronavirus, sostituiti dal caos e dalle esplosioni dell’invasione russa. Se oggi le mascherine potessero proteggere dalla morte, la gente non se le toglierebbe.
Accanto a questo edificio ci sono case residenziali. Le persone rimangono ancora lì. Anche se non si può di certo dire che veramente vivano lì, perché non c’è luce né riscaldamento. Incontriamo una donna anziana che zoppica vicino alla scuola. Oggi era al punto degli gli aiuti umanitari, ha preso un po’ di cibo.
– Come fa a vivere in queste condizioni? Sono integre almeno le mura di casa sua?
– Non tutte. È freddo, ed è dura. Vorrei che finisse presto, – le lacrime appaiono sul volto della signora Olga. – Non ho un posto dove andare. Non ho più nessuno… Perché questa guerra, perché non possiamo vivere in pace?
L’anziana donna indossa un cappotto spesso, scarpe e pantaloni caldi. Sembra che non solo giri per strada in questo modo, ma che vada così anche a letto. La città senza riscaldamento e con finestre e muri rotti non dà alcuna speranza di stare un po’ al caldo. I volontari portano periodicamente cibo e fornelli. E questo aiuta la popolazione locale a resistere e a sopravvivere.
“Hanno detto che domani porteranno delle stufette per la legna. Spero di poterne avere una”, dice Olga.
Dopo aver guidato per un altro po’, vediamo che un signore del posto ha già preso una di quelle stufette e la sta portando a casa in bicicletta.
– Buongiorno. – si rivolge a noi.
– Buongiorno.
È un saluto piuttosto insolito per un abitante di questa città apocalittica. Qui, di norma, tutti si guardano con sospetto. I militari affermano che tra i locali ci sono persone apertamente filorusse che aspettano la “liberazione” della città e raccontano in russo che “la colpa di tutto è dell’America”.
Ci sono poche persone patriottiche. La maggior parte sono persone che aspettano la fine delle operazioni di combattimento ed un po’ di calma. Mentre stavamo con i soldati, un uomo si è avvicinato a noi, gridando, ancora in russo: “Gloria all’Ucraina”. Ma non possiamo verificare se c’è sincerità in queste parole.
Quello di cui siamo certi sono gli arrivi dei colpi che sentiamo ogni minuto. Continuano i duri combattimenti tra l’esercito ucraino e quello russo nei pressi di Bakhmut. Il nemico sta utilizzando tutte le risorse possibili per radere al suolo la città, perché non può prenderla. I carri armati russi, l’artiglieria, i lanciarazzi multipli sono in azione. Per alcune strade della città non è più possibile passare, perché sono esposte ai combattimenti.
Rimane aperta la questione del perché tali forze siano state impiegate contro Bakhmut. Qualche tempo fa, durante il telethon nazionale (che procede 24 ore su 24 dal 24 febbraio), il comandante delle forze di terra Oleksandr Syrskyi ha dichiarato che Bakhmut non ha alcuna importanza strategica in termini militari. Ma accanto a questo, ha un significato psicologico. Soprattutto dopo il successo delle controffensive dell’esercito ucraino nelle direzioni di Kharkiv e Kherson.
L’esercito russo ha bisogno di portare almeno qualche buona notizia al dittatore russo Vladimir Putin. Per questo, oggi inviano un plotone dopo l’altro a prendere d’assalto la città, “le prendono” e tornano indietro.
Oggi, entrambe le parti hanno inviato molte forze in direzione di Bakhmut: i russi per l’offensiva e gli ucraini per la difesa. Tuttavia, gli analisti dell’Istituto americano per lo studio della guerra (ISW) ritengono che questa città sia insignificante in termini operativi e possa diventare una “trappola” per le truppe russe.
“Gli sforzi delle truppe russe intorno a Bakhmut, nella regione di Donetsk, indicano che non hanno imparato la lezione dalle precedenti costose campagne, incentrate su centri abitati insignificanti dal punto di vista operativo. Le attuali battaglie per la città potrebbero diventare una cosiddetta trappola per gli occupanti russi”, prevedono gli analisti di ISW.
Uno degli ispettori della direzione di Bakhmut ha dichiarato a RBK-Ucraina che continuano a trattenere il nemico, ma non si sa quanto possa durare. La situazione in questa direzione cambierebbe notevolmente se l’esercito ucraino ricevesse un maggiore supporto di artiglieria. Più precisamente – munizionamento.
“È molto difficile. Ma penso ancora che dobbiamo riuscire a resistere all’attacco. Abbiamo resistito per tanto tempo. Si verificano assalti quasi tutti i giorni. I nostri hanno fatto fuori molti di loro, ma vengono ad attaccare lo stesso.” – ha raccontato alla redazione.
Come racconta, i russi arrivano in piccoli gruppi, circa 10-20 persone, ma ci possono essere una decina di attacchi al giorno da parte di questi gruppi. Dice che abbiamo subito gravi perdite durante l’assalto, molti feriti. Ma il nemico ne ha ancora di più.
Ad oggi, i russi stanno avanzando lungo l’intera linea del fronte da Bilohorivka sul Siversky Donets a nord, vicino a Soledar, alla periferia orientale di Bakhmut e fino a Opytne, Klishchiyivka, Kurdyumivka e Pivdenne. La stessa Bakhmut è completamente distrutta.
Resti di vestiti, quaderni bruciati e scarpe di bambini saltano in aria con gli edifici dopo l’ennesimo “arrivo”. Non cercano nemmeno di sostituire le finestre. Non avrebbe senso, tra un’ora potrebbero essere distrutte di nuovo. Così come la città stessa, che è diventata il palco scenico dei combattimenti.
Autrice: Anastasia Rokytna
Traduzione di Kateryna Mychka