Nel 2023 la Russia spenderà in armamenti il 20 per cento del proprio bilancio. Il 20 per cento. Una quota esorbitante, dovuta al fatto che l’esercito sta perdendo tantissime armi e mezzi militari e deve continuamente essere riarmato, anche in previsione dei nuovi “mobilitati”.
Chi è il guerrafondaio? Chi è il Paese che spende di più in armamenti, in questo confronto? Un qualunque Paese della Nato o la Russia? Risposta esatta, la Russia.
La soluzione ci sarebbe: basterebbe che Mosca ammettesse il fallimento totale della sua operazione di guerra, che le ha fatto annettere solo virtualmente (e comunque illegalmente) quattro regioni ucraine, provocando allo stesso tempo distruzione totale di numerose città e villaggi, milioni di profughi e di deportati, decine di migliaia di morti, più di 100 morti nelle strutture sanitarie (attaccate più di 700 volte, secondo i dati appena diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità) e subendo un isolamento internazionale senza precedenti. Basterebbe che smettesse, che si ritirasse.
Il vittimismo con cui, ancora oggi, si scrive falsamente che la Russia era in pericolo e stava per essere attaccata, è diventato insopportabile. Il confronto tra i popoli e tra gli Stati non si fa più con questo vittimismo, non in Europa. Durante la guerra fredda, mezzo continente europeo progrediva sul fronte dei diritti, dell’evoluzione della società e dell’economia, ed anche sul fronte della pace e dei rapporti amichevoli tra gli Stati. Capisco che l’altra metà del continente non abbia goduto di decenni di pace e di costruzione dell’unità europea, ma ora il Muro di Berlino è caduto da 34 anni. Nessuno in occidente leggeva più i rapporti tra est e ovest sulla base del confronto tra blocchi, come prima del 1989, ma nel 2022 Putin ha messo tutti di fronte alla necessità di tornare a farlo. Ha creduto di risolvere i (grossi) problemi di tenuta interna del suo regime scatenando una guerra su larga scala contro un Paese innocente, e si è trovato di fronte l’opposizione del mondo libero, che non si sente più al sicuro. Come possiamo tutti, in occidente, sentirci al sicuro se un Paese, a 3mila chilometri, inizia una guerra imperialista e non teme nemmeno d’impoverire il proprio popolo, alzando le spese militari al 20 per cento del suo bilancio per mantenere in vita la guerra e tagliando, quindi, altre spese?
Ecco perché la frontiera ucraina è frontiera europea. Non si tratta di una frase fatta, ma di un concreto pericolo di fronte ad una guerra realmente attuata, a cui si sono aggiunte nel corso dei mesi minacce allucinanti, tra bombe atomiche “tattiche” e proposte di distruggere Londra o New York, diffuse nelle trasmissioni televisive propagandistiche russe.
Nel nostro Senato, qualche giorno fa, si è avuta una surreale discussione, ancora una volta, sull’opportunità di continuare a rifornire di armi l’Ucraina. Posto che l’aiuto militare italiano è pressoché nullo, si sono sentiti parlamentari come Ettore Licheri del Movimento 5 Stelle premettere che «lo stato aggressore è la Russia, così sgomberiamo il campo da ogni equivoco». Non proprio, perché se poi il voto (contrario all’invio di armi) va nella direzione di non condannare l’aggressore, le parole non servono a niente. Lo stesso anche il senatore Massimiliano Romeo della Lega, uno di quelli che nel consiglio regionale della Lombardia aveva promosso la mozione per riconoscere l’annessione della Crimea. Romeo, ieri, pur annunciando il voto favorevole della Lega all’invio di armi, ha voluto aggiungere che la pace non si raggiunge «solo con la sconfitta, o peggio, solo con l’umiliazione di Mosca, altrimenti parliamo di pace solo in modo ipocrita», e che «non si può ottenere la pace umiliando Mosca. Bisogna cercare una pace giusta».
La page giusta sarebbe quella che non umilia il Cremlino? La pace giusta può essere soltanto quella che mette un freno allo Stato che sta spendendo il 20 per cento del suo bilancio in armi (sì, lo scrivo per la terza volta) per riarmare l’esercito impegnato nella guerra da lui voluta, da lui sferrata e da lui continuata.
La pace giusta può essere soltanto quella che non umilia l’aggredito.
di Massimiliano Melley